
Intervista a Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati: “Il sistema di accoglienza esiste ma non basta. Troppi profughi abbandonati per strada. Servono subito percorsi di integrazione” DI C.RUGGIERO E F.RICCI
di Carlo Ruggiero e Fabrizio Ricci, rassegna.it
Proprio in questi giorni l’Alta Corte di Londra è chiamata ad esprimersi sulla richiesta di bloccare il trasferimento di alcuni rifugiati politici in Italia. Casi simili si cominciano a registrare anche in Olanda e Svezia. In Germania i rimpatri dei cosiddetti “dubliners” verso il nostro Paese sono già stati bloccati da 41 diversi tribunali. La ragione di queste decisioni è sempre la stessa. In Italia – si sostiene – non sussistono le condizioni minime di accoglienza per garantire i diritti umani di chi arriva in Europa in fuga da guerre e crisi umanitarie.
Il Guardian riporta la dichiarazione di un avvocato, James Elliot, che rappresenta uno dei rifugiati che non vuole essere rispedito in Italia: “Questa gente attraversa il Sahara e il Mediterraneo su una zattera per arrivare in Italia e essere abbandonata sulla strada”. E’ sempre il quotidiano inglese a riferire che è ormai diffusa la pratica di bruciarsi i polpastrelli delle dita per non avere più impronte digitali e poter così fare una nuova richiesta di asilo in un altro Paese.Chiediamo conto di questa situazione drammatica a Christopher Hein, direttore del Cir (Consiglio italiano per i rifugiati).
Rassegna.it Pare proprio che l’Europa abbia messo l’Italia all’angolo in materia di accoglienza dei profughi. Il giudizio sul nostro sistema e sulle condizioni in cui vivono i rifugiati nel nostro Paese è impietoso. Cosa ne pensa?
Hein Credo che sia necessaria una distinzione. Da alcuni anni in Italia abbiamo lo Sprar, il sistema di protezione per rifugiati e richiedenti asilo, che è secondo noi un sistema di assoluta eccellenza, che ha pochi paragoni in Europa, anche con Paesi come la Germania dove spesso i centri di accoglienza sono fuori da ogni contesto urbano e con delle condizioni non tanto materiali, ma di attenzione alla persona e di integrazione certamente inferiori a quelle garantite nei 130 piccoli e medi centri di accoglienza dello Sprar. Quindi, chi ha la fortuna di entrare in questo circuito certamente trova un’accoglienza dignitosa.
Rassegna.it Ma i fortunati sono solo 3mila all’anno…
Hein Esatto, anche se alcuni giorni fa il sistema è stato potenziato per fare fronte all’emergenza Nord Africa. Ma parliamo comunque di cifre assolutamente insufficienti rispetto al numero di nuovi richiedenti asilo: 10mila nel 2010, 17mila nel 2009 e addirittura 30mila nel 2008 (il decremento negli ultimi anni è evidentemente effetto della politica dei respingimenti attuata dal governo Berlusconi, ndr)
Rassegna.it Per fare chiarezza: tutti questi richiedenti asilo avrebbero diritto all’accoglienza?
Hein Certamente. C’è una direttiva europea che fa obbligo agli stati membri di fornire, in un modo o nell’altro, accoglienza ai richiedenti asilo anche in attesa che la loro domanda sia presa in esame. La direttiva non specifica quanti posti devono essere garantiti, né come l’accoglienza va erogata, ma è molto chiaro che il diritto deve essere garantito.
Rassegna.it Cosa che da noi spesso non avviene.
Hein Sulla carta avviene, ma nella realtà delle cose ci sono molti problemi. Il primo è quello dei tempi necessari ad avviare il procedimento di richiesta di asilo. Possono passare fino a 6 mesi, per i ritardi delle questure, da quando l’immigrato sbarca ad esempio a Lampedusa, fino a quando viene considerato un richiedente asilo. E in questa fase il profugo è letteralmente abbandonato sulla strada. Mentre il secondo problema è che la maggior parte dei richiedenti asilo non entra nel sistema Sprar.
Rassegna.it Eccoci al nodo cruciale: che fine fanno questi profughi?
Hein Finiscono in gran parte nei Cara (Centri accoglienza richiedenti asilo), questi mega centri a gestione diretta del ministero dell’Interno, ma subito dopo la decisione della commissione sulla loro domanda di asilo, sono costretti a lasciarli e si ritrovano completamente abbandonati a loro stessi. Quindi, se vogliamo, possiamo dire che alla fonte del diritto (che è quello comunitario) abbiamo una garanzia di accoglienza sulla carta, ma nella sostanza, soprattutto per chi ottiene la protezione ed è considerato rifugiato, questa garanzia non c’è. E questo perché non esiste nella legislazione europea un obbligo specifico per i paesi membri a garantire per un periodo di tempo determinato, ma variabile a seconda delle diverse situazioni, vitto, alloggio e servizi di accoglienza che favoriscano l’integrazione.
Rassegna.it Quale è secondo lei tra i modelli di accoglienza esistenti in Europa quello che funziona meglio?
Hein Spesso mi viene fatta questa domanda, ma la rifiuto sempre. Non c’è un Paese perfetto. In tanti pensano che la Svezia, che ha un sistema di welfare in generale non paragonabile a quello italiano, sia il modello migliore. Ma in Svezia è successo però recentemente che cittadini iracheni o afgani siano stati rimandati nei loro Paesi, cosa che in Italia non potrebbe mai accadere. Ci sono sempre luci e ombre, non c’è un Paese modello.
Rassegna.it Fatto sta che molti rifugiati dall’Italia vogliono andarsene. Lo dimostrano le tante storie dei dubliners costretti a rientrare in Italia dal nord Europa, ma subito pronti a tentare nuovamente la fuga, anche al costo di cancellare le proprie impronte digitali con il fuoco.
Hein Prima di tutto non è corretto parlare di fuga, perché è un diritto della persona quello di arrivare alla destinazione che preferisce. Ma in ogni caso in Italia vivono ormai oltre 4,5 milioni di immigrati, dei quali 2/3 provengono da Paesi non comunitari. Si sono quindi formate molte comunità stabili e chi fa parte di queste comunità, di queste reti sociali, anche tra i rifugiati, non vuole abbandonare l’Italia. Chi vuole andarsene è soprattutto chi ha comunità, familiari, contatti in altri Paesi. I dati ci dicono che in Italia il numero di rifugiati che vuole restare è in aumento.
Rassegna.it Tornando alle criticità del sistema di accoglienza. E’ indubbio che l’epicentro del problema sia Roma, dove si concentrano tante situazioni limite. Rassegna.it ha denunciato lo scorso anno la situazione dell’ambasciata somala a Roma e quella della Stazione Ostiense, ma i “luoghi dello scandalo” sono molti. Cosa pensa il Cir di questa situazione?
Hein E’ vero, ci sono situazioni assolutamente intollerabili, non solo a Roma, ma anche a Napoli, Milano, Torino. Però certamente a Roma la situazione è esplosiva a causa dei numeri e di una totale insufficienza dei posti disponibili e delle misure di integrazione. Per fortuna nell’ex ambasciata somala non c’è più nessuno, mentre l’insediamento degli afgani, tra cui molti minori, ad Ostiense è una situazione che si riproduce continuamente anche se periodicamente vengono spostati, perché perfino in Afghanistan il luogo “stazione Ostiense” è conosciuto come un punto di ritrovo. Poi ci sono altre realtà come Romanina ad esempio, dove vivono centinaia di rifugiati riconosciuti in condizioni assolutamente insostenibili. Per uscire da questa situazione però non servono interventi di emergenza, non serve spostare in blocco queste persone da un luogo ad un altro. Occorre prendere individualmente in esame, famiglia per famiglia, le situazioni in essere e cercare di costruire percorsi di integrazione che possano consentire a queste persone di costruirsi una vita normale, allontanandole da questi ghetti che sono per di più luoghi pericolosi dove spesso si verificano incendi o altri episodi che mettono a repentaglio vite umane.
link originale: http://www.rassegna.it/articoli/2011/10/27/79529/rifugiati-litalia-dei-diritti-negati