Tutte le Rosarno d’Italia: il paese è una polveriera

Le Rosarno d'Italia: il paese è una polveriera

La mappa elaborata dall’Ires: crisi economica, sfruttamento del lavoro, mafie e leggi ingiuste sull’immigrazione hanno creato decine di contesti a rischio. A Caserta il quadro più difficile, ma ci sono anche Centro e Nord

di Carlo Ruggiero, rassegna.it

Tante Rosarno sparse su tutto il territorio italiano, una serie di bombe sociali pronte a saltare in aria. L’Italia smarrita nella crisi economica e politica di questi anni è anche questo: un tessuto sociale logoro, disgregato da uno sviluppo fallito che potrebbe trascendere da un momento all’altro nella disperazione e nella violenza. Il pericolo è dietro la porta, in agguato.

A tracciare questa mappa del rischio è una lunga ricerca condotta dall’Ires (Istituto ricerche economiche e sociali) che la Cgil ha presentato oggi, 1° luglio, a Roma. Un lavoro complesso (175 pagine), frutto della collaborazione tra diversi ricercatori coordinati dal dottor Emanuele Galossi, insieme al dipartimento Mezzogiorno del sindacato di Corso d’Italia, l’Ufficio Immigrazione, la Flai e la Fillea.

La rivolta degli immigrati a Rosarno del gennaio 2010, ha rappresentato un episodio emblematico dal quale prendere spunto, “un paradigma di quelle problematicità di mancato sviluppo sociale, economico e culturale che caratterizzano molti altri territori della nostra penisola”. Quello infatti non è stato, secondo l’Ires, un episodio casuale, “una mera questione di ordine pubblico in cui affiorano gravissimi atti di razzismo e xenofobia”. La questione è molto più complicata: “le nuove Rosarno” sono luoghi in cui la realtà è fatta di selvaggio sfruttamento del lavoro, soprattutto nei confronti dei braccianti agricoli, soprattutto nei confronti dei migranti. E sono ovunque.

Dietro gli episodi di violenza, dunque, si nascondono la crisi economica, condizioni di lavoro particolarmente dure (in alcuni casi al limite della schiavitù), un sistema d’impresa in cui la contrazione del costo del lavoro è l’unica risposta per migliorare la competitività e in cui il peso del sommerso è sempre maggiore, connivenze con la criminalità organizzata e mancanza di controlli da parte delle istituzioni. Tutti fattori che non possono essere tralasciati.

I territori più a rischio, quelli in cui nel corso degli anni si è andato affermando questo sistema basato su “equilibri distorti”, sono tre in Campania, tre in Puglia, due in Calabria e ben sette in Sicilia. Le quindici province “a maggior propensione rischio di conflittualità sociale” sono nell’ordine: Caserta, Crotone, Napoli, Siracusa, Ragusa, Caltanissetta, Reggio Calabria, Salerno, Catania, Trapani, Foggia, Taranto, Palermo, Agrigento e Lecce. Ma, seppur con le dovute differenze, si possono osservare dinamiche simili anche nelle regioni centro-settentrionali. Vere e proprie “incubatrici di tensioni economiche e sociali”, che potrebbero esplodere in rivolte e scontri tra immigrati e italiani.

Fonte: Ires

I primi sintomi sono infatti da ritrovarsi soprattutto nelle condizioni socio-economiche del territorio: “alto tasso di inattività, alto tasso di disoccupazione (soprattutto tra i giovani e le donne), alto tasso di lavoro irregolare, bassa capacità produttiva, difficile accesso agli ammortizzatori sociali, sistema imprenditoriale parcellizzato, un alto tasso di dispersione scolastica, nonché una mancanza da parte delle istituzioni di politiche dedicate all’immigrazione e all’accoglienza”. Tutti elementi che rendono estremamente fragile il tessuto sociale e che agiscono su un mercato del lavoro locale in cui il sistema dei diritti e delle tutele copre solo una minima parte dei lavoratori.

In questa condizione di estrema precarietà i più esposti sono proprio i lavoratori migranti. Lo sono doppiamente, sia per la loro condizione di migranti economici più facilmente disposti a fare lavori pesanti e mal retribuiti, sia per le difficoltà oggettive derivanti dalla normativa sull’immigrazione che tiene costantemente sulle spine anche chi ha il permesso di soggiorno.

Ad accelerare la discesa verso la violenza
, poi, ci sono “il lavoro nero, il caporalato, l’intreccio tra l’illegalità diffusa all’interno dei rapporti di lavoro stessi e la criminalità organizzata”. In un quadro del genere è quasi naturale che si vengano a creare delle situazioni di forte sfruttamento sul lavoro e di degrado rispetto alla condizione socio-abitativa, anche perché, soprattutto per i lavoratori immigrati, l’accesso ai servizi più elementari come un’abitazione dignitosa o cure mediche è spesso molto difficile.

L’Italia a pezzi di questi anni, insomma, è una vera e propria polveriera. Secondo il Rapporto annuale pubblicato dall’European Network Against Racism (ENAR), nel nostro paese ci sono tutti gli ingredienti per tante nuove Rosarno. In Italia il 65% dei lavoratori stagionali vive in baracche, il 10% in tende e solo il 20% in case in affitto. Sono lavoratori fondamentali per l’economia agricola soprattutto nelle regioni meridionali eppure nella maggior parte dei casi sono costretti a vivere in condizioni disumane, senza acqua, luce e cure mediche, con paghe che non superano i 25 euro giornalieri. O si cambia, o prima o poi – secondo i dati forniti dall’Ires – nuove rivolte sono pronte ad esplodere.

da rassegna.it

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