Turchia: le mani del governo sulla rete

Istanbul, migliaia in piazza contro la censura in internet (foto di Carlo Ruggiero) (immagini di foto di Carlo Ruggiero)L’esecutivo Erdogan vara una legge che permette di applicare nuovi limiti al web. Chiusi migliaia di siti, dal 22 agosto obbligo per gli utenti di applicare un filtro alla propria connessione. In 40 piazze esplode la protesta FOTOGALLERY

di Carlo Ruggiero, rassegna.it

Gli occhi del mondo sono puntati sulla censura che paesi come Cina, Corea del Nord e Iran impongono a internet. La comunità internazionale si confronta sempre più spesso per tentare di varare una concreta politica di contrasto ai sistemi di filtraggio della rete. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, qualche tempo fa, ha addirittura dichiarato che la sua amministrazione stanzierà ben 19 milioni di dollari per forzare il web cinese. Eppure la censura è molto più vicina di quanto non si pensi. Cina e Iran sono solo due casi, forse i più clamorosi, di una tendenza al controllo forzato che serpeggia fino ai confini d’Europa.

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In Turchia, ad esempio, dove il governo conservatore, guidato dal leader del partito islamico-moderato Akp, Tayyip Erdogan, nel febbraio scorso ha varato una legge che permetterà di applicare nuovi filtri alla rete a partire dal 22 agosto. Se la situazione dovesse rimanere immutata, quindi, sarà un’Authority di nomina governativa, la Btk, a decidere cosa si potrà pubblicare e cosa no. E di conseguenza a stabilire cosa gli utenti turchi potranno sapere e cosa invece dovranno ignorare. Censura, insomma, una parola che il giovane stato non dovrebbe permettersi, in vista di un futuro ingresso nell’Unione Europea.

In realtà, in Turchia un filtro della rete c’è già. Il Direttorato per le Telecomunicazioni, il Tib, ben prima della fatidica data del 22 agosto ha bandito dai domini internet parole come “masturbazione”, “donna”, “gay” e “studente”, “per preservare la moralità del popolo”, anche online. La settimana scorsa, le autorità hanno inviato una circolare agli internet provider, intimando loro di chiudere tutti i siti che contengano nell’indirizzo web un vocabolo di una lista di 138 parole vietate, e di impedire l’apertura di nuovi siti che violino la direttiva.

Ma la censura, nel paese, ha radici ben più lontane. Già nel luglio 2010, secondo un report preparato da Freedom House, un’organizzazione dei diritti dell’uomo di Washington, i siti bloccati dal governo turco erano più di 5000, e per due anni, tra questi, ci sono stati anche Youtube e la piattaforma video di Google.

Ora, però, sembra essere arrivati a un punto di non ritorno. La stampa ha diffuso la notizia che parole come “bionda” o “cognata” sono state già bannate, mentre secondo la norma approvata dal governo, gli utenti tra due mesi dovranno scegliere di applicare alla propria connessione uno dei quattro filtri previsti dalla Btk (bambini, famiglia, nazionale, standard). Per ognuno di essi verrà fissata una lista di accessibilità. Insomma, anche se ognuno potrà decidere in autonomia quale modello applicare, i rischio di un controllo totale da parte dello Stato è più che concreto.

Per questo, domenica scorsa, migliaia di persone sono scese in piazza per manifestare. Le marce sono state organizzate su Facebook, e si sono svolte in circa 40 città. Le maggiori ovviamente sono state quelle di Ankara e di Istanbul (FOTOGALLERY), dove un colorato, rumoroso ma pacifico corteo ha sfilato lungo il viale Istiklal, principale arteria commerciale della città. Manifestazioni, poi, si sono svolte anche in numerose città Europee come Colonia, Amsterdam e Vienna.

In piazza c’erano soprattutto giovani, che gridavano slogan e sventolavano cartelloni con la scritta “Don’t Touch My Internet” e “Yes We Ban!”, “Turchia libera, Internet libero”, o ancora: “Tayyip, giù le mani dal mio Internet”, con riferimento al primo ministro Tayyip Erdogan.

Protesta anche il principale partito di opposizione, il socialdemocratico e laico Chp, che sostiene che questo regolamento è “la dichiarazione di morte di Internet in Turchia”, mentre la stampa avversaria ad Erdogan si è sbilanciata parecchio, facendo paralleli con le censure di Cina, Corea del Nord e Iran. Intanto già si annunciano ricorsi fino alla Corte europea dei diritti dell’Uomo.

Tra l’altro, proprio il primo ministro, in piena campagna elettorale per le politiche di giugno, ha deciso di buttare benzina sul fuoco, criticando Facebook. “È una tecnologia cattiva. Le pagine di Facebook sono ripugnanti e orrende”, ha detto di recente. Insomma, il timore di una repressione politica del Web resta altissimo, e i precedenti non sono affatto confortanti. Per la Turchia, l’approvazione di questi nuovi filtri, infatti, sarebbe un ulteriore passo indietro. Non è un caso se il paese è nella lista dei “sorvegliati speciali” di Reporters sans frontières, che accusa Ankara, probabilmente a ragione, di essere uno dei tanti nemici di Internet.

link originale: http://www.rassegna.it/articoli/2011/05/19/74444/turchia-le-mani-del-governo-sulla-rete

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