
di Carlo Ruggiero, rassegna.it
La sanità italiana è al limite. Le spese per le cure mediche salgono vertiginosamente, i pronto soccorso sono al collasso e le attese spesso infinite. E’ questa la fotografia impietosa del sistema ospedaliero del Belpaese scattata da due rapporti diffusi oggi (19 gennaio): ‘Noi Italia’ 2011 dell’Istat, e l’analisi sui reparti d’urgenza condotta dalla Società di medicina emergenza urgenza (Simeu) e dalla Federazione italiana medicina emergenza catastrofi (Fimeuc).
L’Istituto di statistica, in primo luogo, pone l’accento sul denaro speso ogni anno dalle famiglie per curarsi. Ogni nucleo familiare italiano sborsa per la salute oltre 1.100 euro l’anno. Un importo che rappresenta l’1,9 per cento del Prodotto interno lordo.
A conti fatti, la spesa sanitaria pubblica complessiva ammonta a oltre 110 miliardi di euro (7,3 per cento del Pil) e supera i 1.800 euro annui per abitante (anno 2009). Una cifra non certo eccezionale, visto che secondo i tecnici dell’Istat è nettamente inferiore a quella di altri importanti paesi europei come Francia e Germania. Inevitabile, dunque, che le famiglie contribuiscano di tasca propria, per una quota pari al 21,3 per cento.
Eppure i medici non mancano. L’Italia è tra i paesi Ue quello con il maggior numero di medici in strutture sanitarie pubbliche e private sul totale della popolazione residente, quasi 410 ogni centomila abitanti (2009). Tra il 2002 e il 2007, in tutte le regioni si è inoltre verificata una convergenza dell’offerta di posti letto ospedalieri per abitante verso la media nazionale, scesa da 4,3 a 3,7 posti letto ogni mille abitanti.
L’immigrazione ospedaliera è un altro fenomeno sottolineato dall’Istat. Nel 2008, le regioni sono state interessate da circa 650 mila ricoveri ospedalieri di pazienti non residenti e da oltre 570 mila ricoveri effettuati dai pazienti in una regione diversa da quella di residenza.
La situazione più critica, però, è quella dei pronto soccorso. L’ultimo caso in ordine di tempo è quello della paziente ‘ricoverata’ per tre giorni su una sedia, in attesa di un posto letto al Civico di Palermo. Ma episodi del genere sono sempre più frequenti. In Campania, le cronache locali di questi giorni descrivono scenari deliranti nei reparti di emergenza degli ospedali: malati addirittura ‘adagiati’ sulle scrivanie. Insomma, i pronto soccorso italiani sono a rischio collasso.
Simeu e Fimeuc hanno condotto una ricerca sullo stato salute di questi reparti per conto di Adnkronos Salute, dalla quale si evince che sovraffollamento, accessi impropri, mancanza di posti letto per i ricoveri e carenza di personale sono ormai all’ordine del giorno. Il rapporto si basa sull’osservazione delle strutture ospedaliere lombarde, laziali e campane. E mostra come il problema sia diffuso su tutto il territorio nazionale, senza distinzioni tra sud, centro e nord.
Vittorio De Feo, presidente della Simeu Campania, non usa giri di parole: “Tutti i pronto soccorso della regione stanno funzionando ai limiti delle possibilità, gli operatori che ci lavorano stanno stringendo i denti sperando in un’adeguata riorganizzazione del sistema da parte di aziende ospedaliere, Asl e Regione”.
Ma il problema supera i confini del sud. Nel Lazio, in particolare negli ospedali della Capitale, la situazione è al livello di guardia. Soprattutto per quel che riguarda l’attesa dei pazienti per un posto letto. “Nel Lazio – spiega Cinzia Barletta, presidente nazionale Fimeuc – l’attesa per il ricovero può superare le 24 ore nel 30 per cento dei casi e, nel 20 per cento, addirittura raggiungere le 54 ore. Il 15 per cento dei pazienti può invece aspettare anche 72 ore”. Ma situazioni simili non mancano nemmeno in Lombardia.
Anche tre giorni in attesa, quindi, che a volte si traducono in una vera e propria odissea. Ma, a sentire gli operatori che lavorano nei pronto soccorso italiani, di storie disperate se ne potrebbero raccontare a dozzine. “L’affollamento del pronto soccorso – spiega il presidente Fimeuc Barletta – non è un problema organizzativo dei reparti di emergenza, ma dell’ospedale. Se la struttura non può accogliere un paziente, questo per forza rimane in pronto soccorso sulla barella, determinando come effetto domino un rallentamento di tutte le attività e perfino del sistema di emergenza preospedaliero del 118”.
“Le attese sempre maggiori al pronto soccorso sono spesso inevitabili conseguenze di una sbagliata politica sanitaria di tagli indiscriminati, portata avanti in primo luogo nelle Regioni con i piani di rientro, dal Lazio alla Campania, dalla Sicilia alla Calabria”. Ad affermarlo e’ Massimo Cozza, segretario nazionale della Fp Cgil. “Si chiudono giustamente -sottolinea Cozza- i cosiddetti ospedali ‘piccoli e pericolosi’, ma senza aver costruito valide alternative sul territorio aperte 24 ore su 24 e senza un potenziamento dell’assistenza domiciliare. Si crea così una doppia costrizione per cittadini e medici. Il cittadino – aggiunge – è quindi costretto a rivolgersi al pronto soccorso dell’ospedale più grande in modo inappropriato, creando un corto circuito a danno di chi ha bisogno urgente di cure che non potrebbero essere effettuate sul territorio”.
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