Riciclaggio: il gip, “La più grande frode della storia”

di Darrren Hester (da flickr) (immagini di di Darrren Hester (da flickr))L’inchiesta Broker disegna una truffa colossale. 1700 pagine per raccontare un fiume di denaro sporco, evasione e fondi neri per enormi valori. Ma ci sono anche rapporti con ‘Ndrangheta, politica e forze di polizia
di Carlo Ruggiero

“Una delle più colossali frodi poste in essere nella storia nazionale“: così il giudice per le indagini preliminari battezza la storia venuta a galla con l’inchiesta Broker. La truffa ai danni dell’erario è stata disegnata dal magistrato nel provvedimento di oltre 1.700 pagine, con il quale ha disposto l’arresto di 56 persone. Il testo racconta di una fitta rete di connessioni tra aziende, manager ed esponenti della ‘ndrangheta al fine di riciclare denaro sporco. Il tutto per un ammontare complessivo di circa due miliardi e 400 milioni di Iva evasa e un danno al Fisco di circa 370 milioni di euro.

I nomi più grossi finiti nella rete delle forze dell’ordine sono quello di Silvio Scaglia, fondatore di Fastweb e del senatore Di Girolamo (Pdl), ma “l’eccezionale entità del danno arrecato allo Stato”, è rappresentata soprattutto dalla “sistematicità delle condotte, la loro protrazione negli anni e la qualità di primari operatori di borsa e mercato di Fastweb e Telecom Italia Sparale”.

“La realizzazione di ingenti crediti fiscali
“, però, secondo quanto scrive il gip di Roma Aldo Morgigni, “era solo una delle condotte delittuose ideate dagli amministratori e forse il lato meno significativo dell’intera operazione delittuosa“. L’obiettivo era creare “ingenti poste passive di bilancio dovute alle apparenti uscite di centinaia di milioni di euro in favore delle società cartiere. Le ingenti somme di denaro apparentemente spese per pagare l’Iva in favore delle cartiere consentivano di realizzare fondi neri per enormi valori“.

Fastweb e Telecom Italia Sparkle, in sostanza, secondo gli inquirenti avrebbero gonfiato la fatturazione
con servizi inesistenti. per accumulare denaro su conti esteri. L’accusa è dunque quella di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio e al reimpiego di capitali illecitamente acquisiti. Il tutto attraverso una truffa tanto articolata da essere definita un “carosello”. La procura di Roma ha fatto richiesta formale di commissariamento delle due società. La richiesta è motivata dalla “mancata vigilanza“, ed è stata fatta sulla base della legge 231 del 2001 che prevede sanzioni per quelle società che non predispongono misure idonee a evitare danni all’intero assetto societario.

Secondo gli inquirenti, però, ci sarebbe un secondo livello nell’organizzazione che sfocia in rapporti inquietanti con la ‘ndrangheta. Gennaro Mokbel, un imprenditore romano, avrebbe infatti supportato l’elezione al Senato di Di Girolamo. L’associazione, per ottenere collaborazione e protezione, avrebbe dunque chiesto alla ‘ndrangheta di organizzare “gravissimi brogli elettorali” per ottenere l’elezione nella circoscrizione estero di Di Girolamo. Sarebbe stata la ‘ndrangheta a reperire le schede elettorali e a falsificare i voti di preferenza a favore il senatore.

L’adesione al sodalizio di esponenti delle forze di polizia, inoltre, secondo i magistrati costituiva “l’ulteriore passo verso un “terzo livello“ di associati, che fosse rivestito delle pubbliche funzioni indispensabili ad assicurare i profitti dell’associazione“. Questo avveniva sia con “attività di intralcio alle indagini che con diretta attività di collaborazione in cambio di elevatissime somme di denaro che costituivano il prezzo della corruzione“. L’organizzazione, anche per l’abituale collaborazione con appartenenti alla ‘ndrangheta (cui venivano intestati beni di lusso e attività economiche degli associati come nel caso di Franco Pugliese) è giudicata dal gip, nell’ordinanza di custodia cautelare, “tra le più pericolose mai individuate“.

Non ho ancora letto gli atti. Posso solo dire che tutti i fatti, contestati dai giornali, non mi appartengono“. E’ questa la prima reazione di Nicola Di Girolamo, espressa in una conferenza stampa. “Ma roba da matti!“ avrebbe detto invece al Corriere della Sera Silvio Scaglia, l’ex presidente di Fastweb coinvolto nell’inchiesta. Il manager, raggiunto dal quotidiano in Sudamerica, ha affermato: “Non capisco cosa stia succedendo“.

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